Un settore in cerca di idee

 

IL SETTORE PESCA A FANO, ANCHE NELLA PIU’ AMPIA POLITICA NAZIONALE E COMUNITARIA (1983 – 2013):

Ha visto nel tempo, in particolare negli ultimi 25 anni, un progressivo ed irrefrenabile declino della pesca tradizionale a traino con le reti (per demolizioni  e vendite di barche e cessazione di imprese), questa imprenditoria in parte sostituita da una forte riconversione in imprese più snelle con barche di stazza e potenza minore operanti nel settore della pesca dei molluschi bivalvi, pesca quest’ultima  che è diventata la prima realtà produttiva della locale marineria;  una lieve flessione ha subito anche la piccola pesca da posta;  alla fine degli anni ’90 sono nate nuove imprese dedite alla pesca dei grandi pelagici (tonno e pesce spada) con un sistema innovativo per le Ns. zone, ed a basso impatto ambientale, quello degli ami detto anche sistema a palangaro (o “long liner”).   Negli ultimi 15 anni si è fortemente assottigliata la pesca del pesce azzurro con il sistema a volante, a vantaggio di nuove realtà dominanti nella pesca a livello regionale, come Ancona, nel cui porto a partire dal 1998 si è trasferito definitivamente quello che rimaneva della Ns. flotta (il tutto sostenuto da validi motivi di mercato), tanto è vero che possiamo ormai affermare che a Fano non esiste più la pesca del pesce azzurro (sarde ed “alici” o “sardoni”), imprese iscritte a Fano ci sono ma hanno ormai sede stabile e soprattutto vendono e commercializzano per tutto l’anno nel mercato dorico.    La produzione delle imprese locali viene destinata per circa un 20% al mercato ittico di produzione comunale di viale Adriatico; per un 25% viene trasferita direttamente dai produttori a mercati ittici di produzione di altri comuni e a volte ubicati anche in altre regioni (come: Pesaro; Ancona; Cattolica; Rimini; Cesenatico; Chioggia e Venezia);  per un 40% viene venduta a grossisti con stabilimenti in possesso di autorizzazione ministeriale e bollino o numero CEE (questo prevalentemente per specie massive e di minor valore);  per circa un 10% venduto in piazza a dettaglianti e ristoranti senza ulteriori passaggi;  per un 5% venduto in piazza direttamente dai produttori in forma di tentata vendita o tramite spacci di famiglia.    Dell’intera produzione il 75 o 80% del venduto viene conferito dai pescatori a due Organizzazioni Produttori (riconosciute con D.M.), presenti a Fano, che hanno il compito di vendere ai soggetti sopra citati per conto dei produttori.   Appare di difficile monitoraggio la valutazione della produzione che può essere rilevata tramite sistemi complessi (di incrocio di dati tra mercati, grossisti e dettaglianti con un approssimazione di quella produzione sopra citata che non passa nelle strutture mercatali), la sbarco di prodotto per la vendita (pesce bianco, azzurro e molluschi) si aggira, con una certa approssimazione, giornalmente a pieno regime, senza impedimenti di tempo, per tutta la flotta fanese in circa 60/70 ton. di prodotto.  L’attività di pesca per la flotta ha una durata media di 4 gg.  Alla settimana per non più di 10/11 mesi annui ai quali vanno tolti i giorni di cattivo tempo ed avaria.

Si consideri che 25 anni orsono il quantitativo medio pescato giornalmente dalla flotta locale, a pieno regime, si aggirava sulle 85/90 ton. di prodotto.

Va considerato che lo sbarco del prodotto per alcune tipologie di pesche (attrezzi) avviene solo due giorni alla settimana e che giornate di pesca complessive come media della flotta tra attività maggiori e minori è di 150 gg. di operatività in mare – solo la pesca da posta raggiunge i 190 gg. annui (se mantiene l’armamento 12 mesi all’anno).

La flotta è passata da una stazza media di 40 T.s.l. ad una media di 20 T.s.l., denotando una decrescita dell’importanza del naviglio che evidenzia un minore impegni (investimenti) degli imprenditori nel settore.  Il valore del fatturato della produzione, nonostante l’innalzamento dei costi complessivo di gestione che hanno superato abbondantemente il 150% nell’arco di 25 anni, è aumentato, nello stesso periodo, di appena il 15%, si possono notare anche flessioni nelle catture (dato medio) nel periodo di circa il 35%;   nel contempo i beni strumentali (imbarcazioni ed automezzi) non più rinnovati (rari sono i casi di nuove imbarcazioni) hanno visto un progressivo invecchiamento con relativa perdita di valore. Nel calcolo non è inserito il valore della licenza di pesca (che oscilla ciclicamente in base alla capacità di ogni segmento di imprese di fare reddito).

La perdita inoltre di personale qualificato autoctono (dovuta dal minor guadagni derivanti dal contratto alla parte), e l’ingaggio di “mercenari” stranieri spesso non collegati al tessuto sociale locale, ma con la mentalità del mordi e fuggi, hanno deprezzato anche la qualità del lavoro a bordo e la cura con la quale veniva confezionato il prodotto locale, che ha determinato una parta della perdita di competitività della produzione fanese o pesarese che dir si voglia.

Va inoltre detto che l’aumento del gasolio da trazione pesca degli ultimi 25 anni ha visto un costante aumento che ha raggiunto oltre il 1100%, si è infatti passati da €/litro 0,51 ad €/litro 0,590 (aumento va detto che negli ultimi 7 anni ha visto un picco impressionante di aumento di circa il 730% in simbiosi con l’andamento del valore del barile petrolifero);  questi costi hanno letteralmente decimato i guadagni delle imprese, impedendogli di maturare utili da reinvestire nel settore.

I bassi redditi, i sempre maggiori rischi ed incombenti (costi aggiunti, come ad es.: hccp, sicurezza, tracciabilità, nuovi sistemi di confezionamento, etc…).   Le sempre minori risorse a sostegno del settore produttivo a vantaggio delle attività collaterali al sistema, le quali non riescono a dare le spinta al comparto, perché spesso si fondano su scelte non volute dai produttori e dal sistema pesca ma provenienti da soggetti esterni, frenano la ripresa di un settore in cui, in queste condizioni soprattutto se non dovessero cambiare le politiche ad ampio respiro, si fa fatica a credere.

La sommatoria di questi elementi negativi hanno di fatto prodotto un crollo di fiducia imprenditoriale ed occupazionale.

Questo ha causato, come detto, problemi sul ricambio generazionale, provocando un reclutamento di personale da altre regioni, se non come negli ultimi tempi extracomunitario che ha fatto mancare la fidelizzazione nel tempo della manodopera, e soprattutto ha fatto mancare la crescita di nuovi imprenditori che storicamente avevano sempre sostituito le fisiologiche perdite naturali.    Se si innestano inoltre fattori di macro-politica della pesca, come le sempre più stringenti norme Comunitarie, volte a penalizzare il sistema pesca ed a ridurne la Sua capacità di flotta e cattura, con lo scopo ed obiettivo un mirato sacrificio della pesca Comunitaria a favore di massicce importazioni di prodotti ittici in ambito CEE per dare spazio alle esportazioni verso Paesi Terzi di altre produzioni Comunitarie.

Quindi l’aumento delle importazioni da Paesi extracomunitari di prodotti ittici che, se pur di diversa qualità, fungono da calmiere per la produzione nazionale e quindi anche locale, quasi azzerando i necessari guadagni d’impresa e del personale che lavora con contratti alla parte, non aiutano la ripresa, soprattutto in un settore come questo ove le imprese hanno alti rischi di gestione ed il personale addetto un lavoro altamente logorante.

In uno scenario nazionale è questo “un settore in cerca di idee”, che sia la politica comunitaria, che quella nazionale non riescono ad avere.   Un settore che deve essere ristrutturato, dove mancano imprenditori adeguati ai tempi, dove mancano i quadri locali capaci, ed anche dirigenti nazionali illuminati.  Un sistema ancora abituato ad una pesca degli anni ’70 ed ’80 del vecchio secolo dove bastava calare una rete, ed essere bravi pescatori, per fare reddito, dove le importazioni rappresentavano il 15% delle produzione nazionale, contro l’attuale 65%, dove i costi di produzione erano infinitesimamente più bassi degli attuali e dove la capacità o meglio possibilità di prelievo delle risorse (per equilibri biologici) è rimasta sempre la stessa nell’arco di ¼ di secolo, nonostante che le richieste di prodotti ittici siano aumentati.

Cresce l’immagine del prodotto pesce, cresce il consumo di pesca, ma la ns. produzione (va detto non vocata per motivi geo-morfologici all’acquicoltura) cala e vede ancora lontana un alba di rinascita.